La recente (e non ancora conclusa) fase recessiva, ha interessato pesantemente anche il nostro Paese dalla seconda metà del 2011, determinando la necessità di decisi interventi di risanamento del debito pubblico, con conseguenti manovre restrittive che, appesantendo il già debole sistema economico, allontanano le prospettive di recupero delle attività economiche ed industriali: la crescita dei consumi di energia è, per tali motivi, rivista al ribasso dagli osservatori. Inoltre gli obiettivi della politica 20-20-20 della Commissione europea “Energy Policy for Europe”, recepiti nel nostro ordinamento, e ribaditi dal Piano di Azione Nazionale predisposto dal governo, che mirano nel poter garantire al 2020 un soddisfacimento dell’energia primaria basato per il 20% le fonti rinnovabili (il 17% nel caso dell’Italia e il 10% minimo per i biocarburanti), alla riduzione almeno del 20% delle emissioni di CO2 (con un target massimo del 30%), nonché all’aumento del 20% dell’efficienza energetica nei consumi, hanno orientato notevoli risorse economiche ed industriali verso le fonti rinnovabili ed il risparmio energetico. Anche questi impegni dovrebbero contribuire a garantire una modesta crescita dei consumi e a spostare gli investimenti sullo sviluppo delle energie rinnovabili (delle quali alcune, in particolare il fotovoltaico, hanno ricevuto importanti incentivi, considerandone tuttavia un drastico ridimensionamento nel lungo termine). Al quadro occorre aggiungere le ulteriori proposte della Commissione europea in tema di tassazione dei prodotti energetici, ancora in fase di definizione, che potrebbero condizionare ulteriormente la domanda nei prossimi anni. Secondo UP, che per ora sposa la tesi di un recupero delle attività produttive ai livelli pre-crisi per la fine del decennio, sarà comunque caratterizzata, dati gli elevati costi, da una attento uso razionale delle risorse, garantendo un costante risparmio energetico: tali considerazioni portano a ritenere che nel 2020 il loro livello risulti inferiore di circa lo 0,5% rispetto a quello del 1990 e più basso del 13% rispetto al 2005. Il rapporto conclude affermando che gli scenari ipotizzati confermano le difficoltà in cui verserebbe il settore petrolifero, destinato ad un inevitabile ridimensionamento, anche se rimane
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