La controversia sul gas da scisti si è riaccesa ancora una volta in seguito alla pubblicazione, l’8 settembre scorso, di tre studi commissionati dalla Commissione europea sull’impatto di tali applicazioni sull’ambiente e sulla salute, il clima e il mercato degli impianti energetici della produzione. Gli studi sono stati pubblicati appena in tempo per la sessione plenaria di ottobre, durante la quale il Parlamento europeo è tenuto a discutere appunto sull’impatto ambientale dello sfruttamento del gas da scisti. Il Commissario per l’energia Günther Oettinger ha affermato all’inizio del 2012 che l’attuale legislazione UE è stata sufficiente a permettere lo sfruttamento del gas di scisto, pur riconoscendo che alcuni cambiamenti sarebbe necessario apportarli (anche una volta che la fase di produzione sarebbe iniziata) proprio per garantire la protezione dell’ambiente. Secondo quanto osservato, molte modifiche devono essere effettuate soprattutto per quanto riguarda i testi legislativi. Gli studi, che analizzano l’impatto sull’ambiente e sulla salute delle tecniche di fratturazione idraulica (le tecniche utilizzate per liberare il gas di scisto intrappolato nelle rocce), concludono che ben otto temi chiave dovrebbero essere rivisti: le direttive in materia di valutazione di impatto ambientale, rifiuti, responsabilità, rifiuti minerari, emissioni industriali, rumore, la qualità dell’aria e, soprattutto, la qualità dell’acqua. La relazione sottolinea l’impatto cumulativo delle attività connesse e definisce “alti” i rischi cumulati connessi all’esercizio dei pozzi per acqua, terra e aria. Inoltre la produzione di gas di scisto prevede la perforazione di molti pozzi e, per quanto si riscontri la mancanza di dati armonizzati disponibili (la maggior parte delle informazioni si basa sulla esperienza degli Stati Uniti, l’unico paese con più di dieci anni di produzione), secondo lo studio, la produzione di energia elettrica da gas di scisto genera dal 2% al 3% in più di emissioni di gas serra rispetto all’elettricità prodotta dal gas naturale. Ovviamente queste stime differiscono se il gas naturale è importato, in quest’ultimo caso, l’elettricità prodotta da shale gas produce dal 2% al 10% in meno di gas serra (che è il caso che conta per il 60% degli impieghi nell’Ue). Sembra che questa percentuale raggiunga quasi il 50% quando l’elettricità prodotta da gas di scisto viene confrontata con elettricità prodotta dal carbone. Infine, la relazione sottolinea che la stima delle riserve di gas da scisti in Europa non potrebbe che, nella migliore delle ipotesi, compensare la caduta annunciata nella produzione interna di gas naturale. Questi rapporti, secondo il ministro del Tesoro polacco, Mikolaj Budzanowski hanno il solo obiettivo di “indurre in errore l’opinione pubblica”, secondo quanto ha dichiarato sul quotidiano nazionale Rzeczpospolita, aggiungendo che il governo polacco ha in programma di reagire rapidamente alla pubblicazione di questi studi, che accusano essere stati condotti sotto l’ingerenza di Gazprom. La Polonia, è però importante ricordarlo, è il primo paese dell’Unione europea (seguita da Regno Unito, Lituania e Danimarca) ad aver chiaramente affermato la propria volontà di produrre gas da scisti. Questa decisione avrebbe permesso di scrollarsi di dosso la sua dipendenza completa al gas russo fornito, inevitabilmente, dalla russa Gazprom.
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