Il problema è ormai di lungo corso e di difficile soluzione: nell’ UE hanno chiuso ben 15 raffinerie a partire dal 2008, corrispondenti ad un decremento dell’8% della capacità produttiva, portandosi dietro 50.000 posti di lavoro (secondo le stime ufficiali, tra diretti e indiretti). L’industria petrolifera ha riconosciuto che le proiezioni nel lungo periodo confermano il perdurare della contrazione, ma lamenta una dismissione degli stabilimenti eccessiva e non strategica, dettata piuttosto dalle contingenze e non da un piano politico. Infatti si sta notevolmente modificando il mercato in termini di domanda interna, a cui non è corrisposto un organico cambiamento dei meccanismi di tassazione interni dei paesi, mancando l’emanazione della direttiva Europea di riferimento. Altro fattore che sta rivoluzionando il mercato è determinato dal futuro dei biocarburanti, e quindi la crescita della domanda di bioetanolo, per non parlare dello scossone ricevuto in termini di esportazione di gasolio in USA, che con il lancio dello sfruttamento degli scisti ha una prospettiva di netta riduzione delle importazioni dall’europa, accompagnata da un dimezzamento dei costi di produzione dell’energia elettrica da gas naturale. L’Europa secondo gli analisti non beneficerà del boom dello shake gas americano, a meno finché non saranno attivi dei terminali portuali di interscambio per le navi metaniere. In tale complesso scenario e sotto la pressione delle politiche climatiche in termini di regolamentazione delle emissioni, il settore dovrà comunque sopperire almeno fino al 2050 al fabbisogno legato ai trasporti, investendo nel riassetto delle linee produttive. Questo soprattutto considerando il co-processamento sia da fonti fossili sia da biomasse in un’impianto combinato e flessibile. Ci sarà sì ancora bisogno di raffinerie e queste chiedono che si riesca a garantire equilibrio in termini di competitività a livello politico, che poi deve necessariamente riflettersi in ottimizzazione di costo dell’energia per l’industria, il civile e i trasporti. In questo senso l’industria chiede all’Europa di rivedere la sua strategia di riduzione dell’inquinamento, affinché non gravi eccessivamente sull’aumento dei costi energetici.
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