Da un’economia prevalentemente dipendente da carbone e nucleare , la Germania si sta rapidamente trasformando in uno stato principalmente mosso dalle fonti rinnovabili. Il suo ambizioso scopo è quello di dimostrare al mondo che la crescita e la decarbonizzazione possono andare di pari passo con lo sviluppo industriale e la crescita dei consumi. Il paese più popoloso dell’Unione europea vuole mettere in atto una vera e propria rivoluzione e il termine ufficiale usato per indicare questo passaggio è “Energiewende”, che in inglese significa transizione energetica ed è la parola d’ordine nel paese. Ovunque nel paese ampie pianure sono costellate di turbine e i tetti scintillanti delle abitazioni tradiscono la ormai onnipresenza dei pannelli solari. La grande tolleranza (anche nei confronti delle turbine eoliche vicino ai centri abitati) deriva anche dal fatto che più della metà della capacità di energia rinnovabile in Germania è stata installata ed è di proprietà di persone fisiche e cooperative di agricoltori, non certo delle grandi compagnie energetiche. Sono gli 1,3 milioni di famiglie tedesche che stanno producendo energia con pannelli solari fotovoltaici, esempio ne è il sud, lo stato di Baviera, nella regione relativamente più insolata, dove è stata installata più potenza fotovoltaica che in tutti gli Stati Uniti. La Germania sta espandendo la sua capacità installata di energia rinnovabile ad un ritmo impressionante ed è ora al terzo posto nell’eolico dietro Cina e Stati Uniti. “Energiewende” è uno slogan che si trova sui cartelloni delle fermate degli autobus, campeggia nei canali TV e sui giornali, stimola i cittadini verso un ripensamento della fornitura e dell’uso dell’energia. Ovviamente tutto questo è avvenuto mediante meccanismi di incentivazione e ora, anche di fronte alla decisione del Governo presa nel marzo del 2011 di chiudere 8 centrali nucleari e programmare l’arresto delle restanti nove, è dimostrato che questa politica non ha certo portato alla scarsità di offerta, nè al rialzo eccessivo dei prezzi. Nel 2010 le rinnovabili coprivano il 17% della produzione, nel 2012 erano al 23% cambiando radicalmente il mercato tedesco, ma anche quello dei paesi confinanti poichè le esportazioni tedesche di energia verde a basso costo hanno messo in crisi i loro piani di produzione. In particolare, per esempio, le importazioni dei Paesi Bassi sono cresciute di 4 volte nel biennio 2010-2012, da 2.7 a 12,65 TWh, relegando le centrali a gas nazionali a lavorare dal 5% al 15% del loro potenziale. Tutta questa produzione ha creato però problemi ai paesi vicini anche in termini di infrastrutture. In particolare, i principali problemi dell’Energiewende riguardano il la stabilizzazione della rete di collegamento che riguarda sistemi di generazione intermittenti, che per ora sono risolti mediante il meccanismo di compensazione del mercato, il che è possibile fintanto che i paesi limitrofi non dovessero adottare la stessa strategia dei tedeschi. Inoltre è stata rimandata la realizzazione di un importante collegamento tra nord e sud del paese che ora costringe di rivelare energia che transita per la Polonia e la repubblica Ceca generando pericolose correnti incontrollate, per poi ritornare sul suolo tedesco. Nei primi sette mesi del 2013 , il 15,5 per cento dell’energia elettrica prodotta in Germania è derivato da solo solare fotovoltaico e eolico questo comporta sfide importanti nel sostenere e upscaling di energia rinnovabile nei prossimi anni senza interruzione della fornitura di energia elettrica. L’ organizzazione attuale del mercato insomma sta creando gravi problemi per le centrali elettriche convenzionali che devono fermare o cedere la loro energia gratuitamente durante i periodi di picco della produzione solare ed eolica pertanto, la Germania avrà bisogno di grandi riforme di energia elettrica da fonti rinnovabili in termini di pricing. Inoltre diverse critiche interne sono state sollevate circa la scarsa attenzione verso l’efficientamento e i fabbisogni per riscaldamento, accusando l’Energiewende di limitarsi ad una corsa cieca all’aumento di produzione.
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