Secondo una previsione rilasciata dall’Agenzia internazionale dell’Energia, nel 2050 i combustibili rinnovabili saranno in grado di soddisfare tra un terzo ed un quarto della domanda energetica mondiale. Ma a quale prezzo? Rimangono, infatti, irrisolte le questioni ambientali ed alimentari, di fondamentale importanza per i paesi in via di sviluppo. Anzitutto per ciò che attiene alla deforestazione, che ha ricevuto un’indubbia spinta per dare spazio alle colture bio-energetiche. In secondo luogo, per ciò che attiene alla produzione di biocarburanti mediante materie prime alimentari, specie etanolo distillato dai cereali. Celebre, in questo caso, la denuncia di Fidel Castro, secondo la quale i paesi sviluppati avrebbero portato alla fame il Terzo Mondo per ridurre del 15% i consumi delle proprie auto di lusso. Nonostante solo gli Stati Uniti ricorrano a questo sistema, utilizzando le eccedenze produttive, senza più turbare le quotazioni mondiali di mais e grano dal 2008, il problema resta attuale per i meccanismi connessi: crediti per costruire impianti che aumentano il debito estero, necessità di dirottare risorse cerealicole alla produzione di combustibili in caso di sbalzi nel prezzo del petrolio e, soprattutto, il timore latente di carestie nel Terzo Mondo. Secondo la FAO, l’acquisto di terreni agricoli adatti alla produzione dei biocombustibili nelle regioni tropicali a beneficio di paesi ricchi, rischia di creare una situazione esplosiva. In altri termini, se i 15-20 milioni di ettari venduti negli ultimi tre anni in Africa fossero destinati alla produzione alimentare, potrebbero sfamare la popolazione locale e quella dei paesi in forte espansione demografica. Ben diverso risultato si otterrebbe se fossero destinate a colture bio-energetiche.
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