L’oggetto di uno studio targato Wood Mackenzie riguarda il contesto dell’industria energetica legato al problema dell’acqua. Il suo nuovo rapporto “Troubled waters ahead? Rising water risks on the global energy industry” a partire dai dati dell’Aqueduct Water Risk Atlas del World Resources Institure (WRI), parte dalla constatazione che quasi tutte le forme di conversione dell’energia dipendono necessariamente dall’ acqua. Nonostante in termini di consumo assoluto un primo posto spetti all’agricoltura, che utilizza ben i due terzi delle riserve di acqua dolce a livello mondiale, l’industria energetica è di gran lunga al secondo posto con un 15% del totale ed è in aumento. Poiché l’ONU ha previsto un deficit addirittura del 40% di acqua dolce entro il 2030, l’industria energetica è stata messa sempre più sotto controllo da parte dei governi e dell’opinione pubblica perché si capisse come sfrutta le riserve di acqua dolce. Il rapporto cerca di delineare quali rischi occorre valutare attentamente, determinati da fattori legati alla disponibilità idrica e che potrebbero costituire le prossime sfide per l’industria energetica globale, visto che appunto sono le zone soggette a notevole stress idrico quelle che determinano i maggiori rischi operativi per i produttori e quelle ad alta produzione. Grazie allo studio si sarebbe trovato un rischio eccezionale per l’approvvigionamento idrico in tre regioni caratterizzate dalla presenza di grandi produttori di energia: il 50% per cento delle riserve di gas di scisto negli Usa mostrano uno stress idrico basale da medio ad estremamente elevato; il 70% della produzione di carbone e dell’energia prodotta dal carbone in Cina è a stress idrico basale in media estremamente elevato; il 93% delle riserve petrolifere on-shore in Medio Oriente sono esposte ad un rischio complessivo da medio estremamente elevato per quanto riguarda il fabbisogno di acqua. Le parole di Tara Schmidt, una nota analista di Wood Mackenzie, rendono molto l’idea quando afferma che “L’energia scorre sull’acqua”. In effetti tra i settori industriali, a quello energetico è imputato il maggior consumo d’acqua e tre quarti dei produttori di energia intervistati nel 2012 a proposito del Global Water Survey hanno confermato di aver sperimentato i rischi operativi legati all’approvvigionamento idrico, mentre la metà ha sperimentato impatti negativi sul business legati all’acqua negli ultimi cinque anni. Dal rapporto emergerebbe inoltre una sostanziale fragilità del boom del fracking negli Usa: il 50% delle riserve di shale gas e tight oil sono imprigionate in rocce particolarmente dure e non permeabili che si trovano in aree caratterizzate da forte stress idrico, portando la concorrenza per l’acqua tra estrazione di gas e consumo umano una realtà già ora. Infatti benché i produttori di shale gas e tight oil utilizzino una piccola percentuale di acqua rispetto al complesso dei siti industriali degli Stati Uniti, i singoli pozzi necessitano di grandi volumi di acqua per brevi periodi di tempo durante le operazioni di fratturazione idraulica. Queste richieste brevi ma intense si sovrappongono spesso, minacciando la sicurezza degli utenti. Alcune aziende energetiche hanno già provato a programmare strategie di mitigazione del rischio come Antero Resources Inc, che progetta di spendere più di 500 milioni di dollari per una pipeline di 80 miglia, grazie alla quale potrà garantire l’approvvigionamento di acqua per lo sfruttamento del suo sito produttivo. Anche le miniere di carbone e le centrali elettriche a carbone cinesi operano già in condizioni di notevole stress idrico e secondo il rapporto potrebbero affrontare scenari di rischio sempre più gravosi, anche perché si stanno espandendo proprio nelle province settentrionali e occidentali dove la scarsità di acqua è cronica. Nel 2012, quasi il 70% dell’energia elettrica della Cina è derivata dal carbone e la gran parte delle miniere di carbone cinesi si trovavano già in aree soggette a stress idrico basale da medio ad estremamente elevato. Un dato che rende l’idea del disequilibrio è rappresentato dal fatto che più del 60% delle centrali elettriche a carbone previste in Cina sono collocate nelle sei province del nord che contano, insieme, solo il 5% delle risorse idriche complessive del Paese. Allo stesso modo la produzione di petrolio in Medio Oriente, che avviene in una delle aree più aride del mondo, deve affrontare una serie di problemi, tra i quali quelli legati non solo alla mancanza di acqua, ma anche alla desalinizzazione inadeguata o problemi legati ad altre infrastrutture idriche che possono interrompere i progetti in corso, ritardando o arrestando l’intera filiera produttiva. Sempre secondo La Schmidt le soluzioni risiedono essenzialmente nell’adozione delle tecnologie giuste, grazie ad operazioni di trasparenza e all’impegno, ovvero al desiderio, di voler intervenire davvero e sviluppare chiare strategie di gestione delle acque assicurando un futuro ad “acqua sicura” non solo all’industria energetica, poiché negli scenari possibili di sempre più osservatori, l’acqua pare possa costituire davvero una delle prossime sfide dell’umanità.
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