E’ stato pubblicato il consueto rapporto di medio termine sul mercato del petrolio dell’Agenzia Internazionale per l’Energia: l’aumento dei prezzi, l’avvento dello shale gas (soprattuto USA e Canada), le agitazioni sociali e politiche delle regioni del Nord Africa, la forte crescita della domanda di molti paesi emergenti hanno concorso a ridefinire il modo in cui il petrolio viene prodotto, trasformato, scambiato e consumato in tutto il mondo. Non c’è quasi nessun segmento della filiera del petrolio che non subirà in qualche misura trasformazioni sostanziali nel corso dei prossimi cinque anni, con conseguenze significative per l’economia globale e la sicurezza degli approvvigionamenti. La produzione di shale gas continua la sua vertiginosa crescita, il solo Nord America prevede un crescita stimata in 3,9 milioni di barili al giorno di capacità produttiva nel periodo 2012-2018, la metà del totale, questo tiene alta l’offerta nel paese determinando un ribasso dei prezzi e riducendo sostanzialmente la sua dipendenza dall’estero. Al contempo, i Paesi in via di sviluppo hanno superato il mondo industrializzato per la prima volta nella loro sete di petrolio, sempre secondo l’Agenzia e stanno massicciamente aumentando la loro capacità di raffinare il greggio, cosa che sta cambiando la struttura degli scambi ed è parte di “una vasta ristrutturazione di capacità di raffinazione globale”. L’AIE sostiene che questo si traduce inevitabilmente in una situazione critica per raffinatori europei, stretti tra un incremento delle esportazioni dei prodotti statunitensi e lo sviluppo delle nuove raffinerie asiatiche e mediorientali. Questo, sempre secondo l’Agenzia, è un elemento che deve portare le compagnie petrolifere a revisionare le loro strategie di investimento a livello mondiale, e anche a “ridisegnare il modo in cui il petrolio viene trasportato, immagazzinato e raffinato”. Infatti, si sostiene che le stesse tecniche che sono state impiegate per il gas da scisti negli Stati Uniti, potrebbero essere trasferite e applicate a giacimenti convenzionali esausti, aprendo ancora nuove possibilità per l’estrazione, compatibilmente con l’incremento delle emissioni nocive. Questa crescita di produzione del Nord America compensa di fatto la riduzione di produzione avvenuta a seguito delle agitazioni avvenute nel mondo arabo. A due anni dalla “primavera araba”, nel pieno probabilmente di una transizione politica e sociale delle regioni coinvolte, solo l’Iraq è rimasto in positivo nell’incremento della capacità produttiva, anche se problemi interni amministrativi e legati ai pagamenti hanno fatto impantanare molti progetti e alto è rimasto l’allarme per i rischi legati alla sicurezza e i problemi legati all’esecuzione dei piani di investimento e di produzione. I mercati emergenti e in via di sviluppo, dal canto loro, si prevede che possano superare a breve le economie avanzate nel consumo di prodotti petroliferi, saltando dal 49% della domanda globale nel 2012 a più del 54% entro il 2018. Calcolata in termini aggregati, nonostante una rinascita negli Stati Uniti, l’area OCSE sta sempre più abbandonando quote di mercato in favore delle regioni non-OCSE, cosa che costituisce di fatto una forma di delocalizzazione, non dissimile all’andamento di altri settori produttivi. Già la maggior parte della capacità di raffinazione a livello mondiale ormai è concentrata nelle economie non OCSE e nei prossimi cinque anni, praticamente tutta la crescita della capacità di raffinazione del greggio avverrà esclusivamente in queste aree emergenti.
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