L’acqua potabile In Italia costa relativamente poco rispetto alla media dei principali paesi Ue. Dal Lussemburgo, dove è più cara, con un costo di quasi 3,46 euro al metro cubo, si passa dal Belgio, con 3,44 €/mc, Austria con 3,15, Germania con 3,07, poi la Francia con 2,82, mentre l’Italia si attesta penultima in classifica con appena 1,55 euro al metro cubo, la metà rispetto al prezzo dei Paesi più cari. I dati resi noti dal consueto rapporto Utilitatis su base 2011(centro di ricerca su acqua, energia e ambiente) che confermano che in Italia l’acqua costa meno, molto meno che nel resto d’Europa, sono confermate anche dalle indagini sulle tariffe del servizio idrico nazionale di Federconsumatori, che attribuisce a Milano un costo al metro cubo di 0,6 euro, contro, ad esempio, i 2,39 euro di Firenze, con una media di 1,55 euro al metro cubo, mettendo in evidenza comunque una grande variazione su base locale. Eppure il livello di attenzione sulla efficienza del servizio è alto, fino a parlare di vera e propria emergenza, anche perché l’Italia ha già subito delle condanne in materia dalla Corte di Giustizia Ue (le procedure di infrazione sono scattate relativamente alle insufficienze degli apparati depurativi). L’Italia infatti è caratterizzata da un forte deficit infrastrutturale nel settore acquedotti e depurazione: oltre la metà della rete di distribuzione sarebbe da riparare o ricostruire per poter rendere il servizio efficace in tutto il paese, pena perdite stimate che arrivano a toccare punte del 70%, con un tasso di utilizzo delle risorse disponibili che si attesta intorno all’ 80%. Nonostante questo il prelievo medio degli italiani è superiore rispetto a quello paesi confinanti, e in particolare sarebbe superiore alla disponibilità giornaliera, secondo una ricerca della Kinsey&Company ovvero di 180 litri al giorno contro una disponibilità di 140, (dovuta ai bilanci tra riserve degli invasi e raccolte da precipitazioni) mentre sulla media totale pro capite si registra un prelievo di circa 2 metri cubo al giorno per abitante che è circa doppio rispetto a quello dei paesi confinanti. La metà dei consumi è addebitata all’irrigazione dei campi agricoli, un terzo alla produzione industriale e agli usi energetici mentre meno del 20% è imputabile agli usi civili. Per far fronte all’emergenza, ammesso che lo sia, evidentemente occorre puntare sulle infrastrutture che, secondo Federutility, per essere risanate richiederebbero un investimento di circa 64 miliardi per i prossimi trent’anni, che difficilmente possono essere coperti esclusivamente puntando sulla fiscalità. E pare proprio che negli altri paesi europei tali investimenti siano supportati anche dal sistema tariffario (cosa che succede già in alcuni capoluoghi di provincia in Italia). Analizzando lo stato attuale delle infrastrutture idriche in Italia si evidenziano più in dettaglio le carenze: le perdite di rete risultano in media superiori al 35%, la rete fognaria ancora non serve il 15% degli italiani, i depuratori sono inadeguati o addirittura inesistenti per il 33% della popolazione, le portate agli erogatori scarseggiano, soprattutto al sud, e per il 35% dei corpi idrici di superficie non sono raggiunti gli standard di qualità ambientale. Sembrano condizioni da Paese in via di sviluppo e quello che allarma ulteriormente riguarda l’inquinamento dei bacini e dei fiumi, che comporteranno significativi tagli sanzionatori per Stato e Regioni da parte dell’Ue, nella speranza di costringere i Governi a prendere iniziative in tema di depurazione. Secondo il World Water Assessment Programme dell’Unesco, i consumi di acqua sono cresciuti ad un tasso doppio rispetto all’incremento demografico mondiale, portando due miliardi di persone a vivere in assoluta scarsità di acqua e preoccupando per il futuro, mettendo a rischio l’approvvigionamento idrico per due terzi della popolazione del pianeta.
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