Dall’indagine di Mediobanca pubblicata nel Luglio 2012 sulle grandi multinazionali del mondo emergono dati interessanti sul panorama internazionale, sui trend di crescita dei colossi economici e sui loro volumi d’affari e sulla loro distribuzione geografica in relazione alla concentrazione di capitali che sono in grado di generare, muovendo volumi d’affari in grado di far impallidire i prodotti interni lordi di molti Paesi del Mondo e, pertanto, di influenzare pesantemente economia e finanza, oltre che le politiche stesse degli stati nazionali. Nonostante la tragedia che ha coinvolto il Giappone l’anno scorso, la Toyota resta la più grande società del mondo con 287 miliardi di euro di asset totali, anche se il suo vantaggio sulla seconda (Royal Dutch Shell) si è dimezzato rispetto all’anno precedente, la seconda in classifica appunto, con 263,3 miliardi. La classifica prosegue con Gazprom (258,8 mld), ExxonMobil (255,9 mld), Volkswagen (231,6 mld), Petrochina (230,3 mld), Petrobras (213 mld), Bp (200,8 mld), Chevron (158,3 mld) e Total in decima posizione con 151,6 miliardi di euro. Nelle prime venti compagnie del mondo figurano ben due italiane: l’Eni al dodicesimo posto (che ha così scavalcato GE) ed Exor (gruppo Agnelli) che è ora ventesima (ventinovesima l’anno scorso) e a queste si aggiungono altre 13 multinazionali nostrane (Enel, Telecom italia, Finmeccanica, Riva, Prysmian, Luxottica, Pirelli, Italcementi, Cofide, Parmalat, Barilla, Marcegaglia, Danieli e Menarini), più tre che hanno azionariato italiano ma sede nel Benelux (Ferrero, Stm e Tenaris), perlopiù piccole e indebitate, infatti i mezzi propri sono pari allo 0,9% dei debiti finanziari contro il 45% della Germania e il 27,3% della Francia. In generale, quello che emerge dal rapporto conclusivo dello studio, è che le multinazionali occidentali, specialmente quelle del Nord America, sono quelle che si sono destreggiate meglio sul piano della redditività rispetto a quelle dei Paesi emergenti. Più in dettaglio, nel 2011 il fatturato delle multinazionali manifatturiere è cresciuto dell’ 8,8% in Europa, dell’ 11,2% in Nord America, del 12,1% nell’area Russo-asiatica e del 15% nel resto del mondo. Invece il fatturato delle multinazionali cresce nel 2011, soprattutto per quelle che hanno sede nei paesi emergenti, anche se, come detto, registrano una redditività inferiore, poiché i margini in occidente restano infatti nettamente più alti e le società occidentali si dimostrano più strutturate e mature, reagendo meglio agli squilibri dei mercati. Le variazioni di redditività sono positive solo per le multinazionali occidentali: il risultato corrente è in progresso in Europa (+14%) e in nord America (+13,8%), mentre ad oriente cala quello dell’area asiatico-russa (-5,5%) ed anche il resto del mondo segna una flessione (-1,5%). Tuttavia, la ripresa in termini di redditività delle multinazionali, e quindi la ripresa delle vendite, non produce effetti positivi sulla forza lavoro nei paesi più avanzati, cosa che invece accade nei paesi emergenti, che registrano sensibili aumenti dell’occupazione. Infatti l’occupazione cresce del 30,4% per le multinazionali nordamericane e del 23,1% per quelle europee, ma l’occupazione nazionale scende del 7,4% in nord America e del 12% in Europa per lo spostamento degli stabilimenti all’estero. Colpisce il fatto che, nonostante le multinazionali americane siano le prime società per capitalizzazione in borsa, nessuna di loro è tra le prime tre. Ma il dato più interessante è che nelle prime posizioni della classifica generale ci sono soltanto società automobilistiche o energetiche (queste ultime sono ben 8 sulle prime 10, mentre nel 1989 erano soltanto 3), anche se dimostrano di non piacere molto ai mercati azionari, né sono promotrici di occupazione. Infatti è proprio l’industria energetica che, pur vendendo meglio e di più ed essendo finanziariamente molto solida, riduce significativamente l’occupazione: dal 2011 la forza lavoro cala del 9,3%, mentre la manifattura segna un crescita occupazionale del 13%.
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